aiuti di stato

Nel confronto in Europa, il governo Conte ha completamente ignorato un tema cruciale per il futuro della nostra economia: gli aiuti di Stato alle imprese.

Se ora abbiamo la possibilità di ottenere il Recovery Fund, lo dobbiamo più al lavoro fatto dal Parlamento europeo, con l’importante contributo della delegazione di FI nel PPE, e dai governi di Francia e Spagna. Conte invece si è isolato, preferendo insistere sul no al Mes: una strategia incomprensibile dato che – in attesa della decisione ufficiale – la linea di credito non avrà più le precedenti condizionalità.

In Europa dovremmo invece giocare un’altra partita. Da un lato, la richiesta di superamento di quella concorrenza fiscale sleale da parte di Paesi come l’Olanda e il Lussemburgo, veri e propri paradisi fiscali all’interno dell’UE. Dall’altro, un chiarimento su quanto sta accadendo sugli aiuti di Stato.

Di cosa si tratta? In tempi normali, per evitare guerre industriali tra i Paesi europei e mantenere una concorrenza leale, sono pressoché vietati o fortemente limitati gli aiuti pubblici a singole aziende o a singoli settori che i governi nazionali possono erogare. È un principio cardine del mercato unico europeo.

In questa fase di crisi, per favorire l’intervento degli Stati a sostegno di economie paralizzate dall’epidemia, la Commissione europea ha temporaneamente allentato la disciplina sugli aiuti di Stato, aprendo moltissimo la possibilità di usare soldi statali per sostenere imprese in difficoltà. Abbiamo tutti salutato la cosa con favore, perché in questa fase c’è davvero bisogno di tutti gli strumenti possibili, incluso il deficit pubblico.

Ma prima di dire di sì a una misura del genere, il governo italiano avrebbe dovuto porre come condizione che gli aiuti di Stato fossero anch’essi mirati e proporzionati.

Se lasciamo che Paesi con maggiori margini di bilancio come la Germania possano inondare di soldi pubblici le loro imprese, ci ritroveremo presto un mercato europeo squilibrato. Se la BMW o Lufthansa vengono riempite di soldi, e con esse tutto l’indotto, non c’è competizione con l’automotive italiano.

In questo momento, la Commissione UE consente aiuti di Stato fino a 100 milioni di euro a singola azienda, la Germania chiede di aumentare il limite a 3 o a 5 miliardi. Certo, se abbiamo meno capacità di spesa a deficit a sostegno della nostra industria, la responsabilità è di decenni di spesa pubblica eccessiva e di debito elevato. Ma proprio a partire da questo stato di cose, un governo accorto dovrebbe saper mettere tutti gli elementi sul piano negoziale: il dossier sugli aiuti di Stato, la disciplina fiscale da “quasi paradiso fiscale” di alcuni Paesi dellUe e il Recovery Fund. Non si può negoziare per parti separate, non ci conviene.

Oggi la Commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager ha manifestato l’intenzione di bilanciare lo squilibrio tra chi può permettersi di immettere più soldi nelle imprese e chi non può. Ma questa è al momento solo una delle tante incognite legate alla definizione dellimporto e della destinazione del prossimo bilancio europeo. Occorre vigilare e insistere perché ciò avvenga davvero.

Insomma, cè in Europa un dossier molto più importante di cui parlare di cui il governo italiano non si sta inspiegabilmente occupando. È un’ulteriore dimostrazione della sua inadeguatezza nel disegnare una strategia adeguata per il Paese e nel saperla rappresentare e sostenere al meglio nei negoziati europei.

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