Le regioni del Nord Italia hanno “chiuso” tutta una serie di attività per una settimana. Ma è improbabile che il 2 di marzo rialzino la saracinesca. Se, com’è inevitabile, i casi di coronavirus venerdì saranno più di quanti non siano oggi, quale esponente politico accetterà di allentare le misure di contenimento?

Milano è una grande città che produce servizi: senza università, senza teatri, senza eventi tutta una serie di attività cominceranno ad arrancare, anche nel polmone produttivo del Paese. Che fa una società che gestisce una mensa universitaria, se per due o tre settimane non ha studenti da servire, ragazzi che vengono al bar per un caffè o uno snack, e quant’altro? Comincia a ridurre per quel che può il personale, a rinegoziare i contratti coi fornitori, eccetera. Ci sono soluzioni, come il telelavoro, che sarebbero praticabili per alcune mansioni e alcune figure professionali, in caso vi fossero infrastrutture adeguate. Ma non per tutti.

Il fatto che l’Italia sia il primo focolaio in Europa non aiuterà le imprese che esportano. Una crescente diffidenza, per quanto immotivata, nei confronti dei nostri prodotti è in larga misura prevedibile. I sovranisti potrebbero persino vincere la loro grande battaglia, e ottenere la sospensione di Schengen: ma sarebbero gli altri Paesi europei a non voler avere a che fare con noi e non il contrario.

La quarantena da Coronavirus ci dà una sorta di anticipazione del possibile mondo di domani sotto gli effetti sovranisti: un mondo chiuso, nel quale gli scambi e le interazioni con persone fuori dal territorio nazionale sono minori.

E proprio per questo un mondo più povero, con minori opportunità, come sempre, soprattutto per i più deboli: le persone che hanno perso lavoro e faranno più fatica a trovarlo, i lavoratori stagionali che aspettavano l’inizio della stagione turistica, i giovani che vedono allontanarsi il primo impiego.

È presto per fare una stima credibile degli effetti, ma se le chiusure si protraessero, per ipotesi, per un mese intero, sarebbe evidente che parliamo di punti, non di frazioni di punto di PIL.

Per provare a parare almeno parzialmente il colpo, bisognerebbe agire sulla regolamentazione, sospendendo gli adempimenti più gravosi, provando a dare ossigeno alla libertà d’impresa compressa stavolta non solo dallo Stato, ma anche dalle circostanze. Purtroppo, l’impressione è che si tratti di un orizzonte incompatibile con le convinzioni ideologiche della quasi totalità del mondo politico.

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