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Si legge, e probabilmente è vero, che a partire da quella di Prato le comunità cinesi in Italia si sono autoimposte sin dall’inizio della crisi una sorta di quarantena per contribuire a scongiurare la diffusione del Coronavirus.

Si legge, e sicuramente è vero, che da Milano c’è stato il fuggi fuggi generale, che diversi italiani residenti a Codogno hanno violato il divieto di uscire dal Comune, che non c’è assembramento in cui sia rispettata la distanza di sicurezza di un metro, che soprattutto nel Centro-Sud i locali notturni sono pieni di giovani spacconi che non avvertono imbarazzo nel dire: “Ce ne freghiamo del Coronavirus”. Questione culturale.

Il confucianesimo ha infuso nella società cinese il principio per cui la responsabilità nei confronti degli altri viene prima della libertà individuale. Principio poco familiare a noi italiani, naturalmente individualisti, storicamente refrattari alla dimensione nazionale, culturalmente inclini a delegare il benessere nostro e altrui alla società, a Dio, allo Stato o al clan. A parità di numeri, in una nazione come la nostra debellare il virus è più difficile che in Cina, Paese in ciò avvantaggiato da un pur non invidiabile sistema dittatoriale.

Stiamo combattendo una guerra su due fronti, sanitario ed economico: per noi più che per altri la salvezza dal Coronavirus dipende dalla capacità e dalla fermezza di chi ci governa.

Se non si trattasse di Giuseppe Conte, sarebbe logico prendere atto dello Stato di eccezione in corso ed assecondare in un silenzio ordinato e responsabile l’inevitabile concentrazione del potere decisionale nelle mani del presidente del Consiglio. Ma il presidente del Consiglio è Giuseppe Conte.

Può essere lui l’uomo eccezionale in grado di governare lo Stato di eccezione? Ha, Giuseppe Conte, la capacità e la legittimazione necessarie per frenare con misure straordinarie il diffondersi del contagio e metter mano a riforme economiche emergenziali le cui conseguenze ricadranno sulla nazione per i prossimi decenni? Per come si è mosso fino ad oggi, è lecito dubitarne.

Ecco perché la strada pare obbligata: condivisione con le opposizioni di tutte le decisioni del governo da subito; esecutivo di unità nazionale, ovviamente con un premier che abbia l’autorevolezza necessaria, al più presto

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