Bonafede Conte

L’abolizione della prescrizione approvata sotto il governo gialloverde, lo Spazzacorrotti, la riforma delle intercettazioni, la riforma del Codice della crisi di impresa, la mancata riforma del Csm e infine l’incapacità di amministrare le carceri a fronte dell’emergenza Coronavirus fanno senz’altro di Alfonso Bonafede il peggior ministro della Giustizia della storia repubblicana.

Chiedere, però, le sue dimissioni sulla base delle accuse di collusione o, nella migliore delle ipotesi, di acquiescenza nei confronti della mafia levate dall’ex pm Nino Di Matteo, l’inventore del processo Stato-mafia e di molto altro, è un errore politico, ma soprattutto è una rinuncia a principi alti e discriminanti. Principi che hanno a che fare con lo Stato di diritto, col garantismo e con il primato della politica.

Non si può accettare che sulla base di dichiarazioni non provate, rese in televisione a due anni di distanza dai fatti, un qualsiasi magistrato possa ottenere le dimissioni di un qualsiasi ministro. Anche se si tratta di un pessimo ministro come Alfonso Bonafede.

Questa logica appartiene alla sottocultura grillina. Quella sottocultura che portò Bonafede a dire che “se c’è un sospetto, anche chi è pulito deve dimettersi”. Salvo, poi, cambiare idea non appena arrivato al governo.

Perciò ho sottoscritto e votato la mozione di sfiducia presentata dalla senatrice Emma Bonino, che prescinde completamente dalla vicenda Di Matteo e inchioda il ministro Bonafede alle sue concrete responsabilità politiche e di governo.

L’ho fatto per chiarire che ci si può impuntare in difesa di un principio, ma non a costo di tendere una mano ai grillini e a Conte. L’ho fatto pur rendendomi conto che nel pieno di una drammatica emergenza sanitaria generatrice di una ancor più drammatica emergenza economica i temi della giustizia non siano in cima ai pensieri dei cittadini. L’ho fatto pur sapendo che questo improvvisato aggrovigliarsi di mozioni di sfiducia individuale non sarebbe servito ad ottenere la testa di un pessimo ministro come Alfonso Bonafede e men che meno a mandare a casa un governo incapace, ma a fare il gioco tutto tattico e nient’affatto strategico di due capi partito che di nome fanno Matteo.

L’ho fatto per dare un senso politico ad una situazione politicamente insensata, e come me l’hanno fatto altri. Tutti quelli, e non sono pochi, che avvertono il disagio di un’assenza: l’assenza della Politica.

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