Il 25 marzo di 63 anni fa i rappresentanti di Italia, Francia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo firmarono a Roma, in Campidoglio, il Trattato che diede l’impulso definitivo alla costruzione dell’Unione Europea. La nascita della CEE non rappresentò infatti solo l’abbattimento delle barriere commerciali tra quei sei Paesi, ma conteneva già la volontà politica di guardare a un futuro comune. Un futuro di pace e di speranza, com’era nel pensiero di Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi, Robert Schumann, Jean Monnet, Konrad Adenauer.
Rivisto oggi, quel desiderio appare offuscato da troppe incertezze. La pace, fortunatamente, è stata garantita in questi decenni, anche grazie all’allargamento dei confini dell’UE e al solido legame nord-atlantico. La speranza, purtroppo, ha però abbandonato molti cittadini europei.
Il principio cardine della solidarietà tra gli Stati membri è stato infatti fortemente minacciato dalla crisi finanziaria, dalle cui conseguenze stavamo appena per rialzarci, e dal fenomeno migratorio, destinato a interessare ancora a lungo i nostri confini marittimi e terrestri. E oggi quella stessa solidarietà rischia di essere compromessa perfino di fronte alla più grave emergenza che si possa immaginare, quella che mette a rischio la salute e la vita delle persone.
Non possiamo accettare che Stati, che hanno voluto e promosso l’Unione Europea sin dalle origini, oggi continuino a imporre resistenze e paletti di fronte a una gestione comune della crisi.
Le condizioni esistenti per l’utilizzo dei fondi del Mes risultavano inaccettabili già prima e lo sono ancor di più oggi, nelle condizioni imposte dall’epidemia da coronavirus. L’introduzione di Eurobond per stimolare gli investimenti era auspicabile prima, diventa indispensabile oggi. Il bilancio pluriennale dell’UE, al quale si sta ancora lavorando, deve essere ripensato con più coraggio e maggiore impegno da parte degli Stati membri, alla luce delle nuova situazione che si è venuta a creare.
Se l’economia è costretta a rallentare, quasi a fermarsi, bisogna fare di tutto per far sì che si possa rialzare presto o ci perderemo tutti. Gli unici a trarne vantaggio sarebbero i nostri concorrenti, a cominciare dalla Cina.
Nel dibattito in corso in Europa, noto una grande illusione. Quella cioè di poter combattere il populismo e il nazionalismo guardando ciascuno in casa propria. Non è così. Quei fenomeni travalicano i confini nazionali e vedono nell’Unione Europea uno dei suoi obiettivi principali. Per questo dobbiamo affrontarli insieme, dimostrando a tutti i cittadini di essere in grado di trovare soluzioni comuni a problemi comuni.
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