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“Gli innocenti non finiscono in carcere”. A pronunciare questa incredibile affermazione, il 24 gennaio scorso, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Perché rispolverare una delle sue uscite più improvvide? Perché il 17 giugno scorso – esattamente 37 anni dopo l’arresto di Enzo Tortora – in Senato è iniziato l’iter per l’istituzione della giornata delle vittime degli errori giudiziari.

Era necessaria una solennità civile? La risposta è nell’articolo 27 della Costituzione – la presunzione di non colpevolezza – e nei numeri: il 31% dei circa 60mila detenuti non ha ricevuto sentenza definitiva (10mila sono addirittura in attesa di primo giudizio); 257 le sentenze di assoluzione nei confronti di imputati soggetti a carcerazione preventiva nel 2018; circa mille i casi di riparazioni per ingiusta detenzione ogni anno, a cui vanno aggiunti i circa cinque casi di sentenze definitive di condanna revisionate.  

Numeri impressionanti che meritano una giornata di riflessione e l’impegno a cancellare dal vocabolario della politica espressioni come “marcire in carcere” o “buttare via la chiave”. Ma non basta.

Servono anche e soprattutto profondi interventi normativi sulla nostra giustizia.

A partire dalla cancellazione di una riforma, quella della prescrizione, che di fatto fa sprofondare l’imputato nell’abisso delle impugnazioni.

Né quest’ultimo, né gli altri interventi saranno con ogni probabilità realizzati da un governo in cui la golden share è di un Movimento che fa del populismo giustizialista e del furore normativo i suoi mantra e della tendenza a risolvere la complessità con la complicatezza la linea d’azione.

Nonostante la non unanimità di visioni che si registra anche nel centrodestra, Forza Italia proseguirà le sue battaglie sulla giustizia con coerenza. Il problema di fondo, come ha giustamente ricordato Silvio Berlusconi, è lo status della Magistratura da trent’anni a questa parte: non un ordine, come prevede la Costituzione, ma un vero e proprio potere che ha strabordato approfittando della debolezza della politica sin dagli anni di Tangentopoli. Un potere che come tale deve essere trattato.

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