Conte Stati Generali

Con gli Stati Generali, è finito anche il tempo di “radunarsi attorno alla bandiera”, che è la traduzione letterale dell’espressione inglese “rallying round the flag”. La locuzione indica la propensione ad appoggiare – o non ostacolare in eccesso – il governo in carica nei momenti di emergenza, come una guerra o una pandemia.

Questo effetto favorevole al governo in carica è ragionevole nel breve termine, ma perde di senso e di efficacia quando l’emergenza diventa meno grave e quando si comincia a nutrire il sospetto che la situazione di emergenza possa essere sfruttata dal governo per portare avanti un’agenda politica partigiana e non strettamente giustificata dalle difficili circostanze.

Sotto molti profili, gli Stati Generali proclamati dal presidente Giuseppe Conte finiscono per costituire uno spartiacque tra la fase del raduno attorno alla bandiera e quella del giusto ritorno alla dialettica politica.

In generale, non è questione di finalità divergenti: solo qualche grillino estremista può desiderare che il crollo del PIL durante la prima metà di quest’anno diventi l’anticamera al terrificante palazzo della decrescita (in)felice. Se quasi tutti vogliono che si recuperi in fretta il PIL perso quest’anno per cominciare a crescere a tassi sostenuti (tanto per intenderci: più vicini al 2% che all’1%), ci sono visioni molto contrastanti sulle politiche efficaci per ottenere questo risultato.

La convergenza tra MoVimento 5 Stelle e ala sinistra del Pd sembra spingere per un modello statalista e dirigista dell’economia, secondo cui lo Stato imprenditore fa bene sempre e comunque alla crescita del Paese. L’ala liberale del Pd e Italia Viva di Renzi sembrano fortunatamente piuttosto scettici rispetto a questo modello di sviluppo.

Il Rapporto finale del gruppo di lavoro guidato da Vittorio Colao – per chi ha avuto il buon gusto di leggerlo prima di giudicarlo – è giustamente e largamente incentrato sul tema cruciale della crescita della produttività, che è il principale problema strutturale dell’economia italiana, persino più rilevante di quello del debito pubblico. Tuttavia, nella lunga sequenza di incontri fatti durante gli Stati Generali questa spinta verso la crescita della produttività contenuta nel rapporto Colao è rimasta – colposamente o dolosamente – annacquata.

Chi rema contro questo approccio? A mio parere si tratta in particolare dei cosiddetti “domandisti”, cioè coloro che enfatizzano il lato della domanda aggregata di beni e servizi, da spingere in tutti i modi a prescindere dal tema della produttività. Sotto questo profilo, si fa pure di peggio, ovvero si ritiene che l’aumento della produttività (che per l’economia italiana vale come l’acqua nel deserto) sia un fattore pericoloso, in quanto rende ancora più scarsa la domanda di beni e servizi rispetto a una produzione che è “troppa”.

Vorremmo vedere una politica fiscale che fa bene alla crescita economica e alla produttività e dentro questo schema il potenziamento degli investimenti pubblici rischia di essere schiacciato dalla pretesa di non toccare la spesa pubblica corrente, lasciando pochissimo spazio a tagli credibili di imposte: tagli credibili in quanto finanziati dal taglio e dall’efficientamento della spesa pubblica corrente. Quando? Non certamente nel 2020, ma è difficile pensare che vi sia altra maniera sensata per tagliare le imposte nel medio lungo termine.

Se il tema è quello di capire la direzione in cui si vuole muovere il governo Conte (o meglio: il presidente Conte) le sue dichiarazioni in coda agli Stati Generali sulla proposta di abbassare temporaneamente l’IVA fanno pensare che tale direzione sia ancora una volta quella domandista, lasciando inevitabilmente meno spazio all’approccio focalizzato sulla produttività.

Questa proposta sull’IVA solleva più domande rispetto alle risposte che è capace di dare. Se proprio si vuole spingere la domanda, perché non puntare ancor di più sugli investimenti pubblici? Siamo sicuri che la domanda non sia in particolare schiacciata dall’ammontare di incertezza esistente, ragion per cui il governo dovrebbe in primis occuparsi di ridurla? Come mai l’ultima imposta che si pensa di ridurre è l’IMU, come ben dimostrato dalla sostanziale assenza di sconti rispetto alla rata pagata qualche giorno fa, cioè il 16 giugno? Come mai non si attende una riforma fiscale complessiva, e in particolare dell’IRPEF?

Conte e il suo governo dovranno rispondere a queste e altre domande, perché il tempo di radunarsi attorno alla bandiera è stato chiuso da Conte stesso, nel momento stesso in cui ha messo la sua bandiera su Villa Doria Pamphilj.

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