Conte Recovery Fund

Stiamo entrando nella fase decisiva per la definizione del Recovery Fund. Sappiamo che le trattative che si svolgeranno nel prossimo fine settimana a Bruxelles non saranno semplici, ma sono sempre più forti le pressioni nei confronti dei Capi di Stato e di governo affinché la decisione definitiva sui fondi da stanziare per contrastare l’emergenza da Covid-19 sia all’altezza della situazione e delle indicazioni già fornite dalla Commissione europea e dal Parlamento di Strasburgo.

Tra le più recenti, voglio ricordarne due in particolare. La prima è l’editoriale del Financial Times che definisce “profondamente antidemocratica”, nonché “controproducente” l’idea sostenuta dal premier olandese Mark Rutte di imporre condizioni a Paesi come l’Italia e la Spagna per l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund.

La seconda giunge da uno studio dell’Eurobarometro, che rivela come i cittadini europei siano in grande maggioranza (68%) favorevoli a trasferire maggiori poteri all’UE per affrontare crisi come quella attuale. Una quota che in Italia sale addirittura al 78% (e chi tra di noi ancora pensa di poter trarre vantaggio dalla propaganda anti-europea dovrebbe farci un pensierino…), ma che pur ridimensionandosi risulta maggioritaria anche tra le popolazioni dei Paesi “frugali”. Anche se per queste ultime “più poteri” non si traduce automaticamente in “più risorse”.

Se di fronte a questi sentimenti l’Europa deve esprimere coraggio, l’Italia deve dimostrare capacità e responsabilità nel programmare gli interventi da finanziare con il Recovery Fund.

Il governo dovrebbe concentrare tutta la propria attenzione nel presentare un buon piano d’azione, quindi rendere più efficiente la burocrazia, rivedere norme come quelle sull’abuso d’ufficio o il codice degli appalti, varare un piano fiscale complessivo che favorisca gli investimenti e l’occupazione. Procedere con un progetto compiuto di semplificazioni, basato su trasparenza, digitalizzazione, controlli ex post. Intervenire sull’organizzazione di una giustizia ancora troppo lenta e incerta, per fornire le dovute garanzie a chi vuole investire e incentivare la libera impresa. Sono solo alcuni esempi, mentre il Programma Nazionale di Riforma approvato dal Consiglio dei ministri non indica le priorità da perseguire, ma solo uno sterminato elenco di buone intenzioni.

Ha detto bene oggi in Aula Renato Brunetta: questo passaggio storico va oltre le singole persone, gli schieramenti, perfino oltre questo governo. Tutte le forze politiche devono assumersi le proprie responsabilità. Ma devono anche essere messe nelle condizioni di farlo, cosa che fin qui non è avvenuta.

Siamo stanchi di ascoltare dal presidente Conte promesse di coinvolgimento che sono state puntualmente disattese. Il nostro non è un pregiudizio nei confronti di questo governo, è l’esperienza degli ultimi mesi che ci insegna a non fidarci.

Non ci fidiamo quando il presidente del Consiglio garantisce che saremo i primi a presentare in Europa un piano di ripresa, di cui al momento non si vede nemmeno l’ombra. Non ci fidiamo quando invita il Paese a uno “sforzo corale”, mentre non solo ignora le opposizioni, ma continua a fronteggiarsi con i rappresentanti dell’Italia che produce e crea lavoro. Non ci fidiamo quando richiede un prolungamento dello stato di emergenza, senza prima fare un bilancio di questi ultimi mesi né spiegare le ragioni della proroga e ciò che intende fare da qui alla fine dell’anno.

Non ci fidiamo della persistente contrarietà ideologica rispetto al MES, perché – condivido le parole del presidente Berlusconi – “chi dice di no al MES può avere una sola motivazione razionale: far fallire l’euro e l’Europa, rendendo difficile se non impossibile ai nostri partner europei di aiutare l’Italia”.

Se l’esecutivo non sarà in grado di invertire la rotta, di lavorare sulle urgenze del Paese ignorate da troppo tempo, di valorizzare le energie migliori che l’Italia è in grado di offrire, rischiamo che il flusso dei fondi in arrivo da Bruxelles si interrompa ben presto. Ma soprattutto rischiamo che del Recovery Fund e delle altre risorse spese in questi mesi restino solo i debiti da pagare e non i frutti di quanto realizzato.

Per il momento, l’unico stato di emergenza che continuiamo a vivere è quello politico, al quale ci costringe un governo inerte.

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