Per la prima volta l’Aula di Montecitorio è chiamata ad esprimersi su un provvedimento di merito legato all’emergenza COVID-19; per la prima volta, attraverso un voto, esprimiamo il nostro giudizio sull’operato di questo governo.

Dico subito che io per prima avrei voluto esprimere un “sì” convinto e unanime a questo decreto: è quello che si fa ed quello che si è sempre fatto di fronte alle grandi emergenze nazionali. Lo hanno fatto tre generazioni politiche prima di noi di fronte alle grandi tragedie, del dopoguerra, del terrorismo, dei grandi terremoti – penso a quello del Friuli e a quello dell’Irpinia – e lo hanno fatto perché i governi di allora hanno avuto la capacità di mettere da parte l’interesse e l’orgoglio di partito in nome dell’interesse e dell’orgoglio nazionale.

Voi no, voi avete scelto un’altra strada.

Avete escluso da tutte le decisioni sulla crisi le forze politiche che non siedono in Consiglio dei ministri anche se non sono minoranza nel Paese, perché rappresentano la metà del Paese.

Non una proposta da noi avanzata per sostenere le imprese, le partite IVA, le famiglie, per sburocratizzare, per sostenere l’agricoltura e il turismo è stata da voi accolta. Persino uno dei miei emendamenti, quello a sostegno delle famiglie di persone con disabilità grave, è stato da voi respinto. Vi siete arrogati il diritto di decidere da soli in uno dei momenti più drammatici, più tragici della storia della Repubblica italiana.

Lo avete fatto mentre la democrazia è sospesa, le elezioni sono rinviate a data da destinarsi, mentre 60 milioni di italiani sono reclusi in casa, terrorizzati dal virus, dall’assenza di prospettive, dalla mancanza di lavoro. Lo avete fatto mentre sono interdetti tutti i diritti costituzionali: il lavoro, la libera circolazione, l’istruzione. Lo avete fatto mentre si contano oltre 25 mila morti.

Lo avete fatto mentre è alle porte un’altra strage drammatica, quella delle imprese, dei posti di lavoro, delle partite IVA; mentre è alle porte una recessione spaventosa, che farà crollare il prodotto interno lordo di 9 punti percentuali; 15 punti percentuali in un trimestre, come dice l’Ufficio parlamentare di bilancio. Lo avete fatto mentre si parla di nuovi poveri, che raggiungeranno una cifra spaventosa di 10 milioni.

Questo è il quadro nel quale vi siete mossi, senza spirito di condivisione, con superficialità e anche con dilettantismo; eppure i segnali di collaborazione non sono mancati da parte di tutte le opposizioni; da ultime le riflessioni del presidente Berlusconi sull’utilizzo dei fondi europei.

Eppure voi li avete ostinatamente rifiutati; avete ignorato tutte le opposizioni, avete ignorato le imprese, avete ignorato il mondo del lavoro.

Avete ignorato la voce delle donne.

Ma veramente pensate di salvare il Paese tenendo fuori dalla task force sulla ricostruzione la metà della popolazione? Pensate di risolvere la fase 2 in un affare tra uomini, nel 2020? Ma non vi sentite ridicoli neanche un po’?

Allora, che tutto questo lo faccia il MoVimento 5 Stelle, non stupisce: un movimento senza storia, senza riferimenti culturali se non ondivaghi e confusi, che identifica la Cina come interlocutore nello scacchiere internazionale, ma che ha appreso bene la lezione riguardo la spartizione e l’occupazione all’interno dei CdA, delle poltrone dei CdA delle società pubbliche.

Che lo faccia il MoVimento 5 Stelle non stupisce, che lo faccia il Partito Democratico onestamente sorprende, perché è un partito che una storia ce l’ha, un partito che quelle grandi emergenze che ho citato prima (terrorismo, dopoguerra, terremoti) le ha vissute, invocando in quei frangenti condivisione di scelte e di responsabilità. Colleghi della sinistra, lo sapete anche voi che senza la lungimiranza di Enrico Berlinguer, di quella classe politica, probabilmente le Brigate Rosse avrebbero insanguinato per altri anni le strade delle nostre città; probabilmente avrebbero prevalso sull’Italia libera, democratica, repubblicana. Quando avete dimenticato quella lezione?

Quando avete deciso che l’interesse di partito, anche di fronte a grandi emergenze, poteva prevalere sull’interesse della nazione?

Ma poi per cosa? Quali sono le conseguenze di questa gestione divisiva della crisi? Sono conseguenze, esiti, non all’altezza della grande sfida che stiamo attraversando, dal punto di vista dei provvedimenti adottati e dal punto di vista della comunicazione. Sulla comunicazione istituzionale bisognerebbe stendere un velo pietoso: ce le ricordiamo tutte le conferenze stampa del Presidente del Consiglio, gli appuntamenti notturni con milioni e milioni di italiani incollati alla televisione per capirne qualcosa di più, salvo poi non capirci nulla, perché aggiungevano confusione a confusione ed erano fatte senza mai uno straccio di decreto a supporto.

Ci ricordiamo cosa hanno provocato: l’esodo dei pendolari dal nord al sud del Paese con il rischio di infettare aree non contagiate! Ci ricordiamo il panico degli imprenditori, che, dopo la conferenza stampa del sabato sera e il balletto sui codici Ateco, non avevano ancora capito se il lunedì erano in grado di poter riaprire le aziende oppure no. Così come ci ricordiamo, prima della chiusura, del lockdown, l’incubo dei genitori che accompagnavano i loro figli a scuola e non sapevano se il giorno dopo avrebbero potuto riportarli oppure no. Basta con questo andazzo!

La comunicazione istituzionale, soprattutto in condizioni di emergenza, deve essere seria, rigorosa, chiara, trasparente, con documenti, decreti a supporto, in modo tale che i cittadini possano immediatamente consultarli per fugare eventuali dubbi.

E poi, dicevo prima, i provvedimenti adottati: insufficienti, tardivi, parziali. Mentre altri Paesi europei hanno da subito stanziato chi il 4 per cento del PIL, chi il 2 per cento del PIL (Germania, Francia), l’Italia ha stanziato, su insistenza delle opposizioni, un misero 0,9 per cento del PIL, soltanto 25 miliardi, che sono gli unici ad oggi sul tavolo per fronteggiare la crisi. Perché? Nonostante il cappello della BCE, nonostante la BCE comprasse i nostri titoli di Stato, nonostante la sospensione del Patto di stabilità…

Si poteva da subito immaginare di mettere in campo strumenti e risorse per fronteggiare lo tsunami che ci sta travolgendo. E le poche risorse che avete stanziato, che avete previsto, non arrivano neanche a destinazione, perché tanti, troppi lavoratori non hanno ottenuto ancora la cassa integrazione; tanti, troppi professionisti ancora non hanno ottenuto il bonus di 600 euro, su cui non posso tacere anche un pregiudizio ideologico che ha guidato le vostre scelte, perché ad artigiani, commercianti, professionisti avete riconosciuto una mancia risibile di 600 euro, inferiore alla cifra che prendono i percettori del reddito di cittadinanza.

Avete abbandonato migliaia di imprese, milioni di lavoratori, di famiglie, che sono rimasti e continuano a restare tutt’oggi senza un euro in tasca a più di un mese e mezzo dalla crisi.

E il “decreto Liquidità”, che è in discussione nelle Commissioni, non fa ben sperare, perché anche questo è stato annunciato dal Presidente del Consiglio in pompa magna, con una potenza di fuoco di 400 miliardi di euro come garanzia per le imprese, per ottenere i quali, però, ci sarebbe bisogno di uno stanziamento di 30 miliardi, mentre voi ne avete stanziato soltanto uno.

È chiaro che le banche rallentano l’erogazione del credito alle imprese, e poi per ottenere prestiti al di sotto dei 25 mila euro, una cifra che servirà sì e no per pagare le tasse allo Stato, quindi per restituire soldi allo Stato, i piccoli imprenditori devono fare i salti mortali, una corsa a ostacoli per superare ben 19 adempimenti. Questo è l’esito della gestione divisiva dell’emergenza.

E dopo l’emergenza ci sarà la fase della ripartenza, su cui vedo che avete molte idee anche molto confuse; e poi ci sarà la fase della ricostruzione, che sarà ancora più importante. La priorità della ricostruzione è la crescita del Paese, è la creazione di nuovi posti di lavoro, è la creazione di nuova ricchezza, che sono priorità di cui non parlate…

Perché mentre discutete di MES sì, MES no, non capite che l’Italia non può vivere di soldi presi a prestito, ma deve vivere di ricchezza propria. E per vivere di ricchezza propria deve produrre ricchezza, e serve un grande piano di liberazione delle imprese, dei cittadini e delle famiglie dalle tasse e dalla burocrazia.

Queste responsabilità peseranno sulle vostre spalle davanti al Paese e davanti alla storia.

Il no che noi pronunciamo è un no al merito e per il metodo utilizzato. Questa volta siamo noi che diciamo: non in nostro nome

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